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DAL 1743

DAL 1743


La colonia albanese di Villa Badessa risulta tra le più recenti trasmigrata in Italia, tenendo conto che altre comunità erano stanziate in Calabria, Sicilia, Molise, Puglia, già dal secolo XV. Provenienti dall’Epiro, storica regione a sud dell’Albania, originari dei villaggi di Piqèras, Ljukòva, Nivizza, per sfuggire all’oppressiva egemonia e persecuzione religiosa dei turchi, si stanziarono in Abruzzo nel 1743. La comunità ”arberesch” di Villa Badessa trovò accoglienza ed ospitalità nel Regno di Napoli, sotto il re Carlo III di Borbone che dapprima li sistemò provvisoriamente nel tenimento di “Bacucco”, dipendente dal feudo di Penne, poi nel territorio di Pianella. Qui il Sovrano assegnò loro terreni ereditati dalla madre, Elisabetta Farnese, terreni in località Piano di Coccia e appezzamenti tenuti in enfiteusi dalla famiglia Taddei che a Pianella, dove abitava, era conosciuta col soprannome di “Abbadessa”, da cui deriverebbe il  nome ”Villa Badessa”. Da atti notarili dell’epoca si rileva con esattezza che le famiglie albanesi giunte nel territorio di Pianella erano 23 (18 nel 1743 e 5 nel 1748) di cui sono noti i cognomi dei capi-famiglia, i terreni assegnati, gli approvvigionamenti, nonché le condizioni e le garanzie da osservare verso la Casa Reale. Oltre all’“assegnazione” gratuita di complessivi tomoli 793 di terreno (320 ettari) il Sovrano fornì alle famiglie anche tutto il necessario per vivere, denaro e mezzi per il mantenimento delle stesse, concedendo inoltre l’esenzione per 20 anni da ogni censo dovuto alla Casa Reale. A conferma dell’epoca dell’arrivo della comunità arberesch in Abruzzo, da un vecchio registro dei battezzati, presente nella casa canonica, si evince che l’annotazione del primo battezzato reca la data del 18 novembre 1743.

Qui di seguito riportiamo altre fonti storiche e su emigrazioni di parte della popolazione di Villa Badessa verso la Grecia…Notizie tratte dal sito Wikipedia tedesco, poi tradotto e corretto dalla studiosa Amanda Hiller ed integrate da Antonietta Blasi.

Altre fonti storiche su Villa Badessa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mappa storica del Peloponneso datata 1879 con l’indicazione della posizione geografica del nuovo insediamento di Nea Pikerni (a sinistra). Rotta dei primi profughi da Piqeras del 1743 (a destra).

Le foto e le mappe sono state fornite gentilmente da Amanda Hiller, recuperandole dalle seguenti fonti:

https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Piqeras?uselang=de
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/0d/Peloponnes_in_1879.jpg


Nuovo testo sulle origini delle famiglie badessane (2020)

Il libro  disponibile su richiesta (15 euro) è una fonte amplissima di documenti e informazioni relative alle famigllie badessane di origine arbereshe (cerificati di nascita, battesimo, matrimonio, di morte). Stiamo completando l’albero genealogico della Comunità supportati da sistemi digitali per grestire una ampia mole di dati in continua espansione !! A quando una mostra pubblica?


Parte 1^ – Da Piqeras in Albania a Villa Badessa in Abruzzo
C’è una cattiva informazione che riguarda i fondatori di #VillaBadessa. Gli antenati dei Badessani non sono fuggiti dalle incursioni ottomane. Le ultime tre città conquistate dagli ottomani erano #Kruja nel 1478, #Shkodra nel 1479 e #Durazzo nel 1501, più di 10 anni dopo la morte di #Scanderbeg. Tutte e tre le città si trovano nell’Albania settentrionale. L’Albania meridionale, dove si trova #Piqeras, la madrepatria dei Badessani, si trovava sotto il giogo degli ottomani molto tempo prima. Al momento dell’emigrazione avevano convissuto da oltre 200 con gli ottomani
La maggior parte dei Badessani proveniva dal paesino cristiano di rito bizantino (greco-ortodosso) di Piqeras che stava in lite con i paesi vicini che erano passati all’islam. A dicembre del 1742 la popolazione di Piqeras (Piqerasiotët) venne aggredita da questi musulmani, i loro connazionali albanesi. In quel periodo si era prima cristiano o musulmano e poi albanese o ottomano. I termini equivalevano e chi era musulmano veniva definito automaticamente ottomano. Un musulmano poteva ricoprire un ruolo amministrativo importante, un cristiano no. Adesso ci poniamo la domanda perché venivano aggrediti? Per motivi di religione, per il possesso del territorio, o magari, per il devscirme che si usava praticare periodicamente tra la popolazione cristiana, una sorta di tassa che reclutava forzosamente la gioventù cristiana, prevalentemente di sesso maschile. Venivano prelevati dalle loro famiglie ed islamizzata, per poi impiegarli, talvolta in una posizione di rilievo, nel servizio militare e amministrativo dell’Impero. Con questa anteprima che dovrebbe servire ad immergersi nel tempo, arriviamo alla nostra storia.
Pasquale Castagna ci racconta nella sua monografia “Villa Badessa”, che Costantino Vlasi (Wlasj o Blasi), tenente colonnello del Reggimento Granatieri Real Macedone (noto anche come reggimento d’Infanteria Real Macedonia), ai tempi di Carlo IlI di Borbone, combatté con i suoi soldati cosi animosamente, che Re Carlo ammirato del loro valore, promise loro grazie e regii favori. Le 25 reclute rifiutarono tutto ciò e chiesero il temporaneo ricovero dei loro famigliari greco-albanesi nel Regno di Napoli, finché infuriava la dominazione musulmana. Il Re accettò e fece stanziare del denaro per sostenere le spese di viaggio dall’Albania nel Regno di Napoli. Secondo Don Lino Bellizzi i parenti dei soldati provenivano da Piqeras, Lukovë, Klikursi, Shën Vasil, Nivica-Bubar. Ma queste persone erano molto indecise a lasciare i loro luoghi natii sia per nostalgia sia per le conseguenze che poteva portare il solo desiderio di una trasmigrazione, il quale poteva essere condannato a morte.
Il 6 dicembre del 1742, i connazionali musulmani di Borsh e Golëm nel Kurvelesh attaccarono la vicina comunità cristiana di Piqeras che si trova tra Borsh e Lukovë nella regione di Ciamuria e malmenarono gli sfortunati abitanti, ma, visto che erano “discendenti e imitatori dei loro padri” [di religione cristiana greco-ortodossa e coraggiosi], anche se erano solo 47, resistettero per sei giorni durante i quali vennero uccisi 27 musulmani di Borsh mentre nessun cristiano perse la vita. (fonte: K.Ch. Vamvas: Περί των εν Ιταλία Ελληνοαλβανών και ιδίως των εις Ελλάδα μεταναστευσάντων (A proposito dei greco-albanesi e in particolare quelli che migrarono in Grecia). Parnassos Literary Society, Athen 1877, pg. 24). La decisione di emigrare a questo punto fu facilitata perché per un cristiano era proibito tenere armi e, avendo ucciso ben 27 persone nei sei giorni di combattimenti sanguinosi sui Monti Acrocerauni, (quindi, il 12-13 dicembre del 1742), era evidente che erano armati, perciò gli abitanti di Piqeras decisero di abbandonare il loro villaggio, accompagnati dal loro papàs Macario Nikàs (Nica) e dal diacono Demetrio Atanasio. (fonti: fonte: K.Ch. Vamvas, pg. 24; Archivio di Stato di Napoli, si ringraziamo la signora Antonietta Schimanski per aver messo a disposizione la sua ricerca). Mentre un piccolo gruppo si fermava nel vicino paese di Lukovë [a circa 6 km da Piqeras] e nella zona circostante [prova che i Piqerasiotët NON dovevano fuggire], gli altri proseguivano verso sud attraversando Klikursi, Shën Vasil e Nivica-Bubar. Quando si raccolsero vicino al mare [probabilmente vicino a Saranda] per imbarcarsi per Corfù, vennero scoperti e minacciati di essere denunciati da un musulmano. Fu un momento terribile per i nostri emigranti. Uno dei cristiani “finì di pistola il Barbaro”. Spaventati si imbarcarono verso l’isola veneziana di Corfù, condotti da Spiro Idrio [Andrea?] e Demetrio d’Attanasio dove si sentirono protetti da San Spiridione, il protettore di Corfù. (Fonte: Pasquale Castagna)
Secondo lo scrittore greco K.Ch. Vamvas, proseguirono verso Othoni, isola che a quel tempo apparteneva alla Repubblica di Venezia dove aspettavano l’arrivo delle Regie navi che li avrebbero portati a Brindisi. Mentre i Piqerasiotët aspettavano, i fratelli De Martino, con una barca, sarebbero tornati di notte a Piqeras per prendere dalla chiesa del monastero Krimanove l’icona dell’Odigitria, colei che avrebbe indicata loro la giusta via. L’icona, restaurata più volte, oggi è custodita nella chiesa di Santa Maria Assunta di Villa Badessa.
Secondo lo scrittore greco Leonidas Kallivretakis, la popolazione di Piqeras composta da 21 famiglie era guidata dai fratelli di Martino. (pagina 223: http://helios-eie.ekt.gr/EIE/bitstr…)
Da un documento ufficiale che si trova nell’Archivio di Stato di Napoli sappiamo che queste famiglie si trovavano nel porto di Brindisi nel giugno del 1743 dove, per il sospetto che i luoghi di provenienza fossero stati infettati dalla peste che stava dilaniando Messina dal marzo di quell’anno, dovettero fare la quarantena che durò fino agli inizi di ottobre del 1743. (http://spaccatoreale.it/2016/11/09/…)
Vista dei resti del monastero Krimanove sopra Piqeras che custodiva in origine l’icona dell’Odigitria.

Oggi Piqeras è un villaggio nell’ex comune di Lukovë, nella contea di Vlorë, nel sud dell’Albania. In occasione della riforma del governo locale del 2015 è diventato parte del comune di Himarë. È abitato da albanesi ortodossi e si distingue per aver dato i natali all’eroe nazionale albanese Vasil Laçi, che ha tentato di assassinare Vittorio Emanuele III, re d’Italia, e Shefqet Bej Vërlaci, primo ministro dell’Albania dopo l’occupazione dell’Albania da parte dell’Italia fascista.

Piqeras is a village in the former municipality of Lukovë, Vlorë County, southern Albania. At the 2015 local government reform it became part of the municipality Himarë.[1] It is inhabited by Orthodox Albanians and notable for being the birthplace of the Albanian national hero Vasil Laçi who attempted to assassinate Victor Emmanuel III, King of Italy and Shefqet Bej Vërlaci, Prime Minister of Albania after the occupation of Albania by fascist Italy.
(Copied  on 19 August 2021 by https://www.facebook.com/groups/40000747146/permalink/10159689365537147/ )

Da Piqeras in Albania a Villa Badessa in Abruzzo – Parte 2^
Parte 2^ – A Brindisi ricoverati al lazzaretto per la contumacia
Dal giugno del 1743 erano a Brindisi alcune famiglie albanesi, parenti dei soldati del Reggimento Granatieri Real Macedone. Nella città adriatica vennero registrati, ebbero la cittadinanza del Regno di Napoli e fecero la quarantena necessaria per il sospetto che i luoghi di provenienza fossero stati infettati dalla peste che stava dilaniando Messina dal marzo di quell’anno; l’epidemia, che si sarebbe protratta fino alla tarda primavera del ’44, sollecitava provvedimenti per la salvaguardia della salute pubblica sia nel regno delle due Sicilie, e principalmente nei porti, che in tutti gli stati che avevano nel mare la principale via di comunicazione. Brindisi, primo approdo per quanti provenissero dalle sponde orientali dell’Adriatico, non sfuggiva alla regola. In quei mesi ai loro bisogni provvide il colonnello don Giulio Cayafa, “castellano dei Regij Castelli di mare e di terra di Brindisi“: egli anticipò denaro per il mantenimento del consistente nucleo di persone acquistando pane, vino e quant’altro necessario alla loro sopravvivenza. Le somme anticipate dal castellano furono reintegrate da Giovanni Garofano Buonocore, regio percettore della Provincia di #Lecce, al quale la corte provvide, a sua volta, a rimborsare parte del denaro tra il novembre ’43 ed il successivo aprile. (Fonte: Aniello D’Iorio: Inizi di un insediamento albanese nei feudi borbonici).
Le famiglie cercarono in Puglia un sito dove stare ma, dopo un estate di grande calore e poca acqua non “piacque quella terra” (Pasquale Castagna) e, scortate dall’aiutante maggiore D.[on] Demetrio Gicca Micheli, del Reggimento Real Macedone, insieme ai capitani Blasi e Pali del suddetto reggimento, raggiunsero in buona condizione Napoli dopo 16 giorni di viaggio. Demetrio Gicca Micheli venne incaricato da Josè Joaquìn de Montealegre, duca di Salas e secondo segretario di Stato di re Carlo III di Borbone, di sistemare le 17 famiglie in due case non distanti una dall’altra. Questo emerge da una lettera scritta dal Montealegre a Don Antonio Castiglione, marchese e tutore dei beni allodiali della famiglia #Farnese a #Penne il 15 ottobre del 1743. Don Antonio Castiglione venne incaricato dal Montealegre di occuparsi dell’alloggio delle famiglie e suggerì di sistemarli a #Penne in #Abruzzo nell’area “Bacucco”, proprietà della famiglia Farnese. Oltre all’accoglienza doveva essere provveduto al loro sostentamento e alla creazione di posti di lavoro. (Fonte: Archivio di Stato di Napoli; un grazie di cuore va alla signora Antonietta Schimanski (discendente della famiglia Blasi) di #VillaBadessa che ha fornito i dati).

 Da Piqeras in Albania a Villa Badessa in Abruzzo – Parte 3^
Da Napoli a Villa Badessa. Josè Joaquìn de Montealegre, duca di Salas e secondo segretario di Stato di re Carlo III di Borbone, incaricò Don Antonio Castiglione, marchese e tutore dei beni allodiali della famiglia Farnese a #Penne, con una lettera scritta a #Napoli il 15 ottobre del 1743, di occuparsi dell’alloggio delle famiglie e suggerì di sistemarle nell’area “Bacucco”, l’attuale #Arsita, nel tenimento di Penne, che faceva parte dei beni cosiddetti farnesiani, in Abruzzo. Oltre all’accoglienza, doveva essere provveduto al loro sostentamento e alla creazione di posti di lavoro. (Fonte: Archivio di Stato di Napoli; un grazie di cuore va alla signora Antonietta Schimanski (discendente della famiglia Blasi) di #VillaBadessa che ha fornito il risultato delle sue ricerche)
Il marchese Castiglione emanò gli ordini opportuni, redigendo anche un “Libro giornale in cui vennero registrate le spese accorse per la colonia albanese”. Naturalmente, nell’attesa della definizione dei luoghi da coltivare non sarebbe mancato il sostentamento al gruppo: fino all’ottobre 1744 ai 18 capifamiglia sarebbe stata versata periodicamente la somma di grana 41 e 2/3 a persona per “viveri giornalieri ed utensili necessarij”. (Fonte: Aniello D’Iorio: Inizi di un insediamento albanese nei feudi borbonici)
A spese della corona, le famiglie, scortate da Don Demetrio Gicca Micheli, aiutante maggiore del #ReggimentoRealMacedone, insieme ai capitani #Blasi e #Pali del suddetto reggimento, arrivarono a #Pianella nei primi giorni di novembre del 1743, dove vennero sistemate nel palazzo Farnese di fronte alla chiesa matrice di Sant’Antonio Abate. Ma gli abitanti di Pianella avevano tentato di levarseli di torno al più presto (fonte: Federico Roggero: La Colonizzazione di Bozza e Badessa negli atti demaniali della Provincia di Teramo, S. 546) ma, stando alle comunicazioni tra la Segreteria di Stato e i referenti sul territorio, ai greco-albanesi non piacque l’area di Bacucco. (Fonte: Aniello D’Iorio: Inizi di un insediamento albanese nei feudi borbonici). Pare, infatti che gli abitanti di Bacucco non erano d’accordo a farsi sottrarre le poche terre coltivabili del loro territorio per condividerle con le famiglie greco-albanesi. (fonte: Federico Roggero: La Colonizzazione di Bozza e Badessa negli atti demaniali della Provincia di Teramo, S. 546)
A questo punto il marchese Castiglione, i capifamiglia e gli ufficiali del Reggimento Macedone che avevano scortato il gruppo fino in #Abruzzo, visitarono più di una località scartando, dopo la stessa Bacucco, anche Acquadosso, Santa Maria del Poggio e Rocca; tutte rifiutate perché non ritenute fruttifere, o per suggerimento degli abitanti dei luoghi che non volevano condividere i loro feudi reali con i nuovi arrivati. Sembra che non si trovavano terreni graditi agli greco-albanesi. (Fonte: Aniello D’Iorio: Inizi di un insediamento albanese nei feudi borbonici).
Gli abitanti di Pianella si opposero con decisione all’ingresso dei greco-albanesi sui feudi rustici contigui alla loro Università (oggi Comune), presentando le proprie ragioni al sovrano ed erede dei beni di Casa Farnese. I Pianellesi temevano di venir privati delle quote a vantaggio dei geco-albanesi. Il re, tuttavia, non volle sentire ragioni, e nella replica ai cittadini di Pianella tagliò corto, affermando che come i precedenti enfiteuti ed affittuari avevano potuto dar le terre a coloni, “così con maggior giustizia deve credersi che possa farlo il Re, nostro Signore, come padrone diretto e dispotico di detti territori col destinare alla coltura di questi le suddette famiglie di albanesi che indifferentemente considera come tutti gli altri suoi sudditi”. (fonte: Federico Roggero: La Colonizzazione di Bozza e Badessa negli atti demaniali della Provincia di Teramo, S. 546).
Dall’altra parte, Montealegre invitò Castiglione a persuader i greco-albanesi a cedere all’ultima proposta anche perché sembrava “… improprio il trattenersi agli discorsi ed insinuazioni di persone le quali forse hanno interesse in che non si stabiliscano in quei luoghi …” Anche la pazienza reale aveva un limite, cosicché era il caso d’informare i greco-albanesi di “… quanto possa dispiacere il loro procedere a Sua Maestà, la quale poi potrebbe ritirare le tante grazie, che si degna dispensar loro …”. (Fonte: Aniello D’Iorio: Inizi di un insediamento albanese nei feudi borbonici).
Carlo di Borbone impose, in sostanza, la sua volontà a quelli di Pianella, decretando la colonizzazione intensiva di Piano di Coccia e Badessa da parte degli immigrati albanesi. Ma nelle parole del sovrano si scorge invero un progetto più vasto: gli Albanesi/coloni avrebbero dovuto formare una nuova università, distinta da quella di Pianella. Secondo il sovrano di Napoli, l’operazione avrebbe accontentato tutti (fonte: Federico Roggero: La Colonizzazione di Bozza e Badessa negli atti demaniali della Provincia di Teramo, S. 546).
Da un censimento fatto il 13 novembre del 1743 si evince che la scelta dei terreni da destinare alla colonia cadde sul tenimento di Pianella e specificamente sulle località note come Abbadessa (Badessa, o Badesha in arbëreshë) e Piano di Coccia separate fisicamente dal fiume Nora. Piano di Coccia e Abbadessa costituivano insieme una proprietà allodiale di Casa Farnese contigua all’università di Pianella, “…un’estensione di terra in Abruzzo Ulteriore, che appellavasi Abbadessa, e ch’era stata venduta da Giovanni Tedesco alla casa Farnese, ed era venuta in proprietà di esso Carlo [di Borbone] per la morte di Elisabetta sua madre, il tutto rilevandosi partitamente dall’archivio allodiale del Re…” (fonte: Lorenzo Giustiniani: Dizionario geografica-ragionato del Regno di Napoli, Tomo X, Napoli, 1805, p. 195).
Le famiglie erano 18 anziché 17 come si evince dalla lettera del Montealegre al Castiglione con data del 15 ottobre del 1743 con i seguenti capofamiglia: (Fonte: Archivio di Pianella; un grazie di cuore va alla signora Antonietta Schimanski (discendente della famiglia Blasi) di #VillaBadessa che ha fornito il risultato delle sue ricerche):
1. Giovanni Duca (23)
2. Demetrio Atanasio (diacono) (30)
3. Giovanni Spiro (18)
4. Dimo Lessi (40)
5. Dimo Andrea (60)
6. Spiro Andrea (45)
7. Ghi Vranà (60)
8. Dimo Giocca (28)
9. Gini Vrana (35)
10. Giocca Gicca Zupa (25)
11. Martin Lessi (35)
12. Michel Spiro (18)
13. Dimo Varfi (50)
14. Giocca Gicca Guma (35)
15. Atanasio Dima (38)
16. Michel Gini Atanasio (30)
17. Michel Gini Gicca (30)
18. Macario Nica (papàs) (26)
Mancano all’appello i fratelli De Martino.
La gente del posto rimaneva stupita dall’aspetto dei greco-albanesi che venivano da loro stessi descritti che avessero “forme mostruose” (fonte: Pasquale Castagna). Erano altissimi, di grande corporatura e barbuti (fonte: Lino Bellizzi, S. 15). Scavi del 1968 hanno portato alla luce un loculo mortuario contente uno scheletro intatto di 2 m di altezza (fonte Lino Bellizzi, S. 271). Inoltre, i greco-albanesi di Villa Badessa venivano descritti come laboriosi, generosi, pazienti e leali (fonte: Lino Bellizzi, S. 193).
A Villa Badessa, il primo battesimo venne celebrato da papàs Macario Nica il 18 novembre 1743. Era Alessio Nghika (o Gica), figlio di Gica Spiro e di Contessa Nicolarias (figlia di Nicola). Padrino fu Don Antonio Castiglione, Marchese di Penne (fonte: Lino Bellizzi, s. 97).

 

La fondazione di Villa Badessa

Pianella intorno al 1937
Finalmente il 4 marzo 1744 venne stipulato l’atto formale di concessione delle terre ai greco-albanesi che “si trovavano già in questa terra [di Pianella] e collocate nel palazzo della serenissima Casa Farnese sin tanto che avranno fabbricato in detti territori le loro abitazioni e non altrimenti.” (fonte: Archivio di Pianella) Il rogito notarile fu redatto a Pianella dal notaio Saverio Fonso di Ortona a Mare, in casa di don Carlo de Felici, davanti ai testimoni Avenerio Pantaleone, Domenico Cipriani e Giuseppe Bernabeo e in presenza dell’Auditore Conte Don Francesco Taddei e del Tesoriere Don Antonio Castiglione, marchese e tutore dei beni allodiali della famiglia #Farnese a #Penne. (fonte: Lino Bellizzi, p. 79; Aniello D’Iorio: Inizi di un insediamento albanese nei feudi borbonici)
Nell’introduzione del documento si legge come re Carlo di Borbone si fosse degnato “di benignamente accogliere sotto il suo regale dominio diciotto Famiglie Albanesi venute in questo Regno nell’anno 1743, con somministrar loro li soccorsi necessari per il totale stabilimento delle medesime nelli due tenimenti detti Badessa e del Piano di Coccia […] esistenti li medesimi nel distretto di questa terra di Pianella, e spettante alla maestà sua, come beni della gloriosa serenissima Casa Farnese, trovandosi il primo, cioè quello della Badessa querciato, vignato, olivato, e con casa rustica […] ed il secondo, cioè quello del Piano di Coccia alborato di quercie, e con casa rustica.” (fonte: Archivio di Pianella) L’introduzione del documento conferma che i due tenimenti di Badessa e Piano di Coccia fossero latifondi rustici disabitati, nel senso che in essi non esistevano insediamenti urbani, ma soltanto una casa rustica in ciascuno dei due. Oltre all’assegnazione (donazione gratuita) di complessivi tomoli 793 di terreno (circa 320 ettari) (fonte: Lino Bellizzi, p. 67) il Sovrano si impegnò a fornire alle famiglie tutto il necessario alla messa a coltura delle terre, cominciando dagli animali e dagli attrezzi agricoli (fonte: Federico Roggero: La colonizzazione di Bozza e Badessa negli atti demaniali della provincia di Teramo, p. 548), concedendo inoltre l’esenzione per 20 anni da ogni peso e censo dovuto di regola alla Casa Reale da ogni suddito. (Lino Bellizzi, p. 80)
Più volte viene precisato che oggetto della concessione colonica non erano gli interi territori dei latifondi (come avevano chiesto i greco-albanesi), ma le sole porzioni “reputate bastevoli per il loro travaglio e che da ora dette famiglie albanesi si applicano alla coltura de terreni de suddetti territori, che ritrovansi in riposo e senza semina, per proseguire doppo la raccolta di quest’anno, da farsi dall’enfiteuta, ed affittuario rispettivo delli medesimi territori, il dippiù del loro travaglio.” Queste porzioni sarebbero state individuate e quotizzate da periti come idonee a garantire il sostentamento degli appartenenti alle 18 famiglie. Il sovrano si riservò di concedere, eventualmente, altre terre ad altri coloni greco-albanesi che fossero sopravvenuti, ovvero di assegnarle a persone diverse. In questo modo, venne chiarito che, al di fuori delle porzioni che i greco-albanesi fossero riusciti a coltivare, tutto sarebbe rimasto nel pieno dominio del sovrano, proprietario concedente (Federico Roggero, p. 548).

Fonte: Lino Bellizzi: Vila Badessa, p. 196
Fatta una perlustrazione sul luogo, i capifamiglia albanesi designarono il luogo detto il Morrecino, in piano di Monticello, nella Badessa, come quello in cui avrebbero eretto le loro abitazioni (fonte: Federico Roggero, S. 548 ) che erano simili a quelle dell’Epiro con tetti ben visibili da tutte le alture e vallate circostanti (fonte: Lino Bellizzi, p. 55). Furono erette due file di case ai lati della strada principale, che tutt’oggi si possono constatare in Via Italia. Le abitazioni originarie formavano casette rettangolari prolungate, mono-famigliari, soltanto il pianterreno, eccetto poche di proprietà dei notabili locali che avevano, oltre al pianterreno, anche il primo piano. Ciascuna abitazione aveva sul fronte strada una porta e due finestre.

Casa di un notabile di Villa Badessa
Il tetto, a due spioventi poco inclinati, coperto da un impasto argilloso di paglia e pula depositato sopra stecche di legno di quercia, canne e paglia, su cui si allineavano le tegole (qjaramìdet). Un tozzo comignolo all’estremità completava la casetta, cui veniva annesso un piccolo appezzamento di terreno come cortile-orticello. Nei tempi passati le pietre del fiume Nora e mattoni formavano le mura perimetrali della colonia (Lino Bellizzi, p. 56).

Edward Lear: Villa Badessa, 1843 (Fonte: Gaetano Passarelli: Le icone di Villa Badessa)
Nel 1748 arrivarono dall’Albania cinque nuove famiglie per un totale di 23 persone. I capifamiglia erano: Dimo Pali (auch: Palli), Gicca Pali, Giocca Pali, Gicca Pali Micheli e Gicca Atanasio (fonte: Archivio di Stato di Napoli; un grazie di cuore va alla signora Antonietta Schimanski (discendente della famiglia Blasi) di #VillaBadessa che ha fornito i dati;). A questo punto il re incaricò il marchese Castiglione di unirle alle 18 famiglie già stabilite nella Badessa e Piano di Coccia, cosicché a questo punto la colonia era formata da 23 famiglie. (fonte: Federico Roggero, S. 547) Infine, per evitare ogni futuro disturbo e confusione, il 24 ottobre del 1753, il Castiglione fece riassegnare (donazione gratuita) i terreni tra le singole 23 famiglie con l’atto formale a Pianella dal notaio Daniele Buccieri (fonte: Lino Bellizzi, p. 79)-

Edward Lear: Costumi femminili di Villa Badessa, 1843
All’aprirsi della dominazione napoleonica sul Regno di Napoli, Villa Badessa fu riguardata come università (comune). Secondo il progetto di accorpamenti concepito nel 1806, essa avrebbe dovuto essere riunita a Pianella. Il progetto, tuttavia, fu successivamente modificato, e Badessa finì sotto Rosciano, insieme a Villa San Giovanni e a Villa Oliveti. (fonte: Federico Roggero: p. 550)

Riflessioni sull’origine del nome dell’insediamento “VILLA BADESSA”

Qui di seguito un contributo storico-scientifico che documenta l’origine del nome Villa Badessa sorto con il primo nucleo di insediamento nel 1743….a cura di Giovanni Agresti e Giancarlo Ranalli (2010).

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La storia in un’intervista al Sig. Armando Gioni

Ora qui di seguito riportiamo un breve video del Sig. Gioni Armando, registrato nel 2000 da Andrea Albanese (www.villabadessa.org) che sintetizza la storia, la condizione e le prospettive future di Villa Badessa. Buona visione.

 

http://www.villabadessa.org/Armando.WMV

 

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Nel pdf qui di seguito denominato 2 bandiere, alcune info sull’origine della bandiera albanese…

2 bandiere


Ortodossi nel Mediterraneo – Tesi di Dottorato di Angela Falcetta (Università di Padova, 2014)

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Le comunità albanesi in Italia: libertà di lingua e di religione (Articolo tratto dalla rivista Stato, Chiese e Pluralismo culturale, 2015)

Stato Chiesa 2015


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       THE HISTORY

 

The Albanian community of Villa Badessa was one of the most recent to emigrate to Italy. Other Albanian emigrants settled in Calabria, Sicily, Molise and Puglia in the XV century. This group fled from Turkish Ottoman domination and religious persecution in 1743.They came from Epirus, a region in the south of Albania, people from the villages of  Piqèras, Ljukòva, Nivizza, and settled in Abruzzo in 1743.

The community “Arberesche” of Villa Badessa were granted  hospitality in the Kingdom of Naples by Charles III of Bourbon.

At first they stayed in the holding of “Bacucco”, then they settled in the area of Pianella. The King assigned them lands he had inherited from his mother Elizabeth Farnese. Lands in the area of Piano di Coccia and allotments leased to the Taddei Family, who lived in Pianella, where they were  known by the nickname “Abbadessa”. From this comes the name “Villa Badessa”.

From notary acts of the time the exact number of Albanian Families who arrived in Pianella  can be seen 23 families (18 families in 1743 and 5 families in 1748).

The surnames of the head of the families, the land alloted to them and the conditions and duties they owed to the Royal family are noted. As well as the free “allotment” of the 320 hectres of land the King furnished the families with the necessities to live, money and means to keep themselves.

He also allowed them to be free of the obligation to pay any income to the Royal House for 20 years. The confirmation of the arrival  of the Arberesche community in Abruzzo can be seen in an old register of Baptisms in the Church, where the date of the first baptized is on 18th November 1743.

Despite being inserted in an area populated by “Latini”, as were called the inhabitants of the near-by towns, the Albanians of Villa Badessa managed to keep their Byzantine-Greek traditions and a good part of the Eastern way of thinking. Mixed marriages between Albanian and Latini only began in 1923, and with them the gradual decline of the language, traditions and many culinary dishes began. Unfortunately, such a small community, over a period of time couldn’t avoid being influenced by the life style of the surrounding population.

This is the history of the Arberesche community of Villa Badessa. Its survival in time is entrusted to the zeal and enterprises of the Cultural Association and the care and attention the managing local authorities wish to dedicate to the small ethnic minority in their area.


Ortodox in Mediterranean Bacino – PhD Thesis by Angela Falcetta (Padua University, 2014, Italy)

Italy was in the eighteenth century a region of contact between Orthodoxy and Roman Christianity. Three main factors contributed to make this region a place of particular importance for the interaction between these two cultures: the settlement of a number of old and new Greek-rite communities, the rising presence and influence of Orthodox Russia across all the Mediterranean and the extensive power of the Catholic Church exerted above all through the Congregation of Propaganda Fide and its network of missionaries. This ‘Catholic Mediterranean’ constitutes the terrain of investigation for my thesis.
In the first part I reconstitute the formation process of a ‘western Orthodoxy’ along the boundary between the Respublica christiana and the «Orthodox Commonwealth». I draw attention, in particular, to the different legal statuses of the Greek-rite Christians with respect to the ecclesiastical and civil institutions. The Orthodox migrants/settlers organized themselves in multiple institutional forms of community: in brotherhoods, in merchant ‘nations’ protected by a consul or in relatively autonomous administrative units. Likewise, their political statuses were various: they could be subjects of the Catholic sovereign or foreigners from Venetian or Ottoman domains. For the civil authority being a Venetian or an Ottoman subject could be more important than belonging to a confessional minority. In general, all these legal factors, as well as the interstate relationships and the complex interaction between the ecclesiastical and civil spheres, influenced the confessional status of migrants/settlers. On the informal plan, the confessional and community borders were continuously crossed and contested, so that the official taxonomies, both political and religious, failed to give order to an extremely fluid reality.
In the second part, the ‘western space’ of Orthodoxy is reconstituted through the analysis of the individual trajectories and the inter-community ties. The lives of the orthodox migrants/settlers appear liminal, continuously shifting between different cultures, confessions and roles. The composite and fragmented reality, in which they moved, was internally connected by a network of manifold relationships (not only commercial) and by an intense mobility. The Kingdom of Naples is the main area of observation: it was, in fact, at the centre (although not the economic centre) of the Mediterranean and the orthodox migrant and social networks as well. It was a place of landing or a crossing point not only for hundreds of Orthodox merchants, soldiers and clergymen, but also for a variety of other subjects from Republics of Ragusa, Genoa and Venice, Dalmatia and Ionian islands, Habsburg lands and Ottoman empire. So, despite strong ties among the members of ‘nation’ existed, they intersected a more various reality. The study of Greek merchants resident in the coastal and inland towns of the Adriatic province of the Kingdom, Terra di Bari, brings out the partiality of the model addressed by the scholars of the ‘Greek commercial diaspora’. Here the Greek merchant was not only nor mainly, like this model presumes, an intermediary between the eastern Mediterranean markets and the West, embedded in a Greek ‘diasporic’ space. In Terra di Bari the merchants of the «Greek nation» were also involved in the local economic circuits, especially in the rural economy and in the transport and trade of grain. The merchant trust was not founded solely on the ethno-confessional bonds; the cross-cultural and inter-confessional relationships, moreover, extended beyond the sphere of trade. Above all the church, which was for a long time denied by the civil and ecclesiastical authorities, was not the centre of community ties.
In the third and final part, the analysis focuses on the community’s praxis. I explore under different respects the way in which community ties were created or challenged and the forms and meanings of belonging. Comparing western and eastern Mediterranean contexts, I investigate the connection among legal forms (the church, the brotherhood, the normative statutes, etc.), the informal practices (customs, temporary associations, etc.) and the ideological representations of community by the élite. The community as a coherent and ‘perennial’ unit does not exist in reality, but only like an image, shaped by its leaders in order to preserve the collective rights and the legal existence of the community. In reality, instead, the community is not an insular and compact entity, but is affected by environmental, economic and social factors. Exploring the factors determining the belonging, I find that the differences – political, religious and linguistic – are not in practice expression of distinct and separate identities. In some circumstances, nevertheless, they can assume an identitarian value at the ideological and discursive levels. So, in general, I note that the ‘identities’ exist only as processes, mostly transient and instrumental.
In conclusion, with this work I attempted to give a more nuanced and unitary picture of the so-called Greek diaspora and the Orthodoxy in the West. The continuous crossing of borders shows the historicity of civilizations (Catholic and Orthodox) and their inner and confused movement, especially at the boundary….



Info in Deutsch

 

 

Eigenvorschlag: Villa Badessa (17. Januar‎)
Luigi del Giudice: Arbëresh-Tracht von Villa Badessa, zwischen 1777 und 1825

Villa Badessa (in Arbëresh: Badhesa) ist eine italienische Fraktion der Gemeinde Rosciano in der Region Abruzzen, die 1743 von albanischen Flüchtlingen (Arbëresh) aus Südalbanien gegründet wurde.–Asia (Diskussion) 08:21, 12. Feb. 2017 (CET)

Sehr umfangreicher, interessanter Artikel. Teaservorschlag:

Dk0704 (Diskussion) 08:35, 12. Feb. 2017 (CET)

(nach 2 BK) Ein äußerst interessanter Artikel! Vielen Dank.
Der “Teaser” ist allerdings keiner – bevor ich einen Alternativvorschlag machen kann, muss ich zunächst den Artikel ausführlich lesen. Ich finde diese Geschichte mit der Ikone interessant. —Radsportler.svg NicolaMing Klaaf 08:38, 12. Feb. 2017 (CET)

Bild einer Tracht passt nicht zu einem Ortsartikel. —AxelHH (Diskussion) 09:30, 12. Feb. 2017 (CET)

Wie ist es mit diesem hier?

Villa Badessa, Lithografie von Edward Lear, 1846

Asia (Diskussion) 10:36, 12. Feb. 2017 (CET)

Auf dem Bild ist keine Stadt zu erkennen. —AxelHH (Diskussion) 22:59, 18. Feb. 2017 (CET)
@Nicola: Ich dachte, ein interessanter Fakt (italienische Siedlung wurde von albanischen Einwanderern gegründet) taugt schon als Teaser? Also ich krieg Appetit auf den Artikel durch diesen Fakt. Eigentlich sind ja oftmals SG?-Teaser so. Erdhummel (Diskussion) 14:15, 12. Feb. 2017 (CET)

Es waren christliche Flüchtlinge. Deshalb bin ich für …. von albanischen christlichen Flüchtlingen gegründet–Asia (Diskussion) 14:38, 12. Feb. 2017 (CET)
(nach BK) @Erdhummel: Ein interessanter Fakt taugt als Teaser, das schon. Aber verschiedene Leute finden eben verschiedene Fakten interessant. Ich persönlich finde diesen Fakt jetzt nicht so umwerfend in einer Welt, in der ständig Menschen von a nach b wandern und anderseo ansässig werden. Aber ist natürlich Geschmackssache.
Mir gefällt auch die Illustration mit der Tracht, da der Artikel nicht nur von dem Ort handelt, sondern auch davon, dass die Menschen in diesem Ort an ihren alten Bräuchen und an ihrer Sprache festhalten. —Radsportler.svg NicolaMing Klaaf 14:43, 12. Feb. 2017 (CET)

Meiner Meinung nach muss das “christlich” nicht im Teaser zwingend erwähnt werden. —Radsportler.svg NicolaMing Klaaf 18:58, 12. Feb. 2017 (CET)

Teaservorschlag:

* Villa Badessa wurde 1743 von albanischen Flüchtlingen gegründet.–Asia (Diskussion) 07:59, 14. Feb. 2017 (CET)
* Das italienische Dorf Villa Badessa wurde 1743 von albanischen Flüchtlingen gegründet. —Lars (User.Albinfo) 20:27, 14. Feb. 2017 (CET)
* Die italienische Fraktion Villa Badessa wurde 1743 von albanischen Flüchtlingen gegründet. (In Italien gibt es keine Dörfer in deutschem Sinne. Villa Badessa ist eine Fraktion und liegt einige Kilometer außerhalb der Gemeinde. Somit ist Villa Badessa auch kein Ortsteil.)–Asia (Diskussion) 15:30, 15. Feb. 2017 (CET)–Asia (Diskussion) 15:30, 15. Feb. 2017 (CET)

Symbol support vote.svg Profür den Vorschlag von Lars (User.Albinfo) („Das italienische Dorf Villa Badessa wurde 1743 von albanischen Flüchtlingen gegründet.“). Ich bezweifle stark, dass diese Bedeutung des Wortes Fraktion vielen Lesern der SG?s geläufig ist. Das wäre ja nicht schlimm, wenn das den Teaser interessant machen würde, tut es aber nicht an der Stelle, da der Teaser ja schon über was anderes funktioniert, nämlich den interessanten Fakt. Wenn die Italiener ihre Siedlungen so anders strukturieren, dass das deutsche Vokabular für Ortschaftsbezeichnungen nicht ausreichen würde, muss man es eben mit einem allgemeingültigen Wort bezeichnen (Dorf) oder versuchen, doch eine Parallele zu den deutschen Bezeichnungen für solche Sachen zu finden (dann wäre der Begriff Ortsteil angebracht, auch wenn das in Italien anders gegliedert ist). Erdhummel (Diskussion) 10:21, 19. Feb. 2017 (CET)
Symbol support vote.svg ProWenn man einen Kompromiss eingehen muss, dann bin ich für: Die italienische Ortschaft Villa Badessa wurde 1743 von albanischen Flüchtlingen gegründet. (Siehe: Fraktion und Circoscrizione (Italien))–Asia (Diskussion) 10:51, 19. Feb. 2017 (CET)

Wo steht geschrieben, dass es in Italien keine Dörfer gibt? Vielleicht gibt es in Italien keine Dörfer im deutschen Sinne (was auch immer das sein soll), aber es gibt auch Dörfer im allgemeinen Sinn: Ein wikt:Dorf ist aber einfach eine kleine Siedlung – und kleine Siedlungen gibt es auch in Italien.
Eine Fraktion ist eine Untereinheit einer Gemeinde. Fraktion wäre als Begriff präziser, aber wohl zu fachtechnisch und zu wenig geläufug, als dass man den Begriff auf der Hauptseite in diesem Kontext bringen sollte, wenn es nicht zwingend notwendig ist.
Ortschaft wäre meines Erachtens kein besonders guter Kompromiss, hat das Wort wikt:Ortschaft neben der Siedlung noch eine administrative Bedeutung, ist also mehrdeutiger und eher etwas umständlich. —Lars (User.Albinfo) 21:12, 19. Feb. 2017 (CET)

In der Einleitung des Artikels Fraktion steht: „Eine Fraktion (italienisch frazione) ist eine Ortschaft, die zu einer größeren italienischen Gemeinde gehört.“ Eine Fraktion liegt normalerweise außerhalb eines größeren Ortes. Der Teaser soll doch neugierig machen, oder? Ganz am Anfang im Artikel Villa Badessa steht, dass es sich um eine Fraktion handelt.
Unter der Bedutung Dorf steht bei Punkt 2: „kleine Siedlung, ländlicher Wohnort“. Vielleicht habe ich eine falsche Vorstellung von Dorf (im ländlichen Stil). Das gibt es in Italien nicht. Guck dir mal Villa Badessa in Google Streat View an.
Symbol support vote.svg Pro Wie wäre es mit: Die italienische Fraktion (Ortschaft) Villa Badessa wurde 1743 von albanischen Flüchtlingen gegründet. —Asia (Diskussion) 08:21, 20. Feb. 2017 (CET)

Mir ist das zu akademisch, diese Diskussion. Es gibt zum einen die Bezeichnungen nach Status, dann aber auch die landläufigen Bezeichnungen. “Dorf” finde ich daher durchaus zutreffend, eine Klammer im Teaser hingegen nicht sinnvoll. Wie wäre es mit:

  • Villa Badessa wurde 1743 von albanischen Flüchtlingen gegründet.
Damit würde das “Problem”, wenn es denn eins ist, umgangen. —Radsportler.svg NicolaMing Klaaf 08:37, 20. Feb. 2017 (CET)

Bin damit einverstanden. —Asia (Diskussion) 12:51, 20. Feb. 2017 (CET)
Mir fehlt da der Zusammenhang mit Italien.

  • Villa Badessa in Italien wurde 1743 von albanischen Flüchtlingen gegründet.
M.E. kann man ruhig auch den ganz allgemeinen Begriff “Ort” verwenden, der alle Siedluncgsformen und Verwaltungskategorien offen lässt.

  • Der italienische Ort Villa Badessa wurde 1743 von albanischen Flüchtlingen gegründet.bjs Diskussionsseite 14:30, 4. Mär. 2017 (CET)
Zum Artikel: Weiter unten haben wir aber auch noch Nea Pikerni als Vorschlag. Ich würde auf jeden Fall einen davon präsentieren, aber nicht beide. In der Einleitung oben steht etwas von “Plattform für kleinere, sonst kaum wahrgenommene Artikel.” Villa Badessa hat mer als 50 kB, ist gut und ausführlich geschrieben und könnte meines Erachtens nach einem Review durchaus mal in die Kandidatur für lesenswert gehen. Ich tendiere daher für Schon Gewuss? eher für Nea Pikerni (nach Beseitigung der im dortigen Vorrschlagsabschnitt angemerkten Redundanz). Albaner gründen eine Siedlung in Italien war damals auch nicht mehr so neu, die Hauptwelle war 300 Jahre vorher in den Königreichen Neapel und Sizilien.

Symbol support vote.svg Pro für Kandidatur lesenswert.–Asia (Diskussion) 08:04, 6. Mär. 2017 (CET)

 

 

Nella rubrica ‘Lo sapevi che..?’ sulla homepage di Wikipedia, Villa Badessa è presente..

https://de.wikipedia.org/wiki/Wikipedia_Diskussion:Hauptseite/Schon_gewusst#Eigenvorschlag:_Villa_Badessa_.2817._Januar.E2.80.8E.29

https://de.wikipedia.org/wiki/Wikipedia_Diskussion:Hauptseite/Schon_gewusst#Eigenvorschlag:_Nea_Pikerni_.2820._Februar.29

 

Informazioni fornite dalla studiosa Amanda Hiller

www.bessarabia.it
www.migrationsmuseum.it


francia

Info in Francaise

Albanais de Villa Badessa_Introduction



Info in Greece

Sull’origine storica di Villa Badessa….aprire la Nota qui di seguito…

N02.018.08


Villa Badessa di Rosciano (PE) – Oasi orientale di rito Greco-Bizantino

Cenni storici della Comunità

Le origini e la storia di Villa Badessa, unica comunità di origine arbëreshë d’Abruzzo, costituiscono un tutt’uno così noto e al tempo stesso ancora incerto, quindi infuso di aspetti da scoprire e dettagli tali da suscitare anche nel profano che vi si accosti una certa curiosità e senso di meraviglia. Più unico che raro deve considerarsi il fenomeno della gente di questa Villa Badessa, che dopo quasi tre secoli di permanenza in terra straniera (Italia appunto provenienti dall’Albania meridionale), rimane tenacemente attaccata alla propria fede religiosa che si mostra nella sua pienezza nella ricca funzione liturgica secondo il rito greco-bizantino; meno evidenti sono i segni della lingua originaria parlata (quasi del tutto scomparsa), gli usi e costumi della terra d’origine, anche se su iniziative recenti si assiste ad un loro recupero e valorizzazione.

La trattazione che segue, volutamente prende largo spunto da un elaborato di tesi dal titolo La Comunità arbereshe di Villa Badessa oggi: le eredità del passato come risorsa per il futuro, discussa da Giuseppe De Micheli (peraltro di origini arbereshe e nativo di Villa Badessa) presso la Facoltà di Scienze Sociali, Corso di Laurea triennale in Sociologia, Relatrice prof.ssa Eide Spedicato, A.A. 2010-2011. Vuole così essere per così dire anche un omaggio ed un riconoscimento al neo-dottore Giuseppe (detto Peppe) De Micheli per lo sforzo ed il traguardo raggiunto a livello personale, ma al contempo l’elaborato stesso rende un importante “servizio” di comunicazione e accresciuta visibilità all’intera comunità badessana.

Qui di seguito pertanto si procederà ad una descrizione iniziale dei fatti sulle origini e sulla storia di Villa Badessa, che pur rappresentando pietre miliari, saranno solo i punti di partenza per successivi approfondimenti di aspetti più particolari ed eventuali problematiche attuali.

Se precedenti pubblicazioni su Villa Badessa, le fonti e le citazioni storiche sono state il nucleo argomentale delle stesse pubblicazioni, in questo caso ne sono solo uno spunto iniziale ma imprescindibile dal contesto generale dell’opera intera.


 

Sull’emigrazione albanese in Italia

L’emigrazione albanese in Italia è avvenuta in un arco temporale che abbraccia tre secoli, dalla metà del XV secolo alla metà del secolo XVIII. La formazione delle colonie albanesi risale a dopo il 1468, anno della morte dell’eroe nazionale, Giorgio Castriota Skanderbeg. Nel XV secolo, prima e dopo, l’invasione ottomana e la caduta di Scutari, si registrano passaggi di gruppi consistenti di emigrati albanesi a Venezia, dove formarono una fiorente colonia, e nei territori della Serenissima. Questi gruppi, parlanti varietà dialettali di tipo tosco, iniziarono a trasferirsi in Italia a partire dal secolo XV, incoraggiati dalla politica di ripopolamento messa in pratica da Alfonso I d’Aragona verso varie zone dell’allora Regno di Napoli, di cui Calabria e Sicilia facevano parte. Il movimento migratorio crebbe dopo l’invasione turca dell’Albania (1435) e continuò fino al sec. XVIII con lo stanziamento pacifico di comunità albanesi tra le popolazioni di dialetto italo-romanzo.

Una volta emigrati, contadini e soldati costituirono colonie alle quali vennero concesse piena autonomia amministrativa; fu loro concesso di fondare o ripopolare nuovi villaggi, dopo aver stipulato favorevoli “capitoli” con i feudatari del luogo.

Secondo una tradizione di studi storici consolidata, sono 8 le ondate migratorie di albanesi in Italia, a cui vanno aggiunti: gli spostamenti all’interno del territorio dell’Italia meridionale e le ultime migrazioni (la nona) degli ultimi anni. L’ultimo paese ove si insediò la comunità albanese, nel corso di questo esodo, fu Villa Badessa, in Abruzzo, nel 1743, come peraltro riportato dal libro dei battezzati presente presso l’archivio della canonica della chiesetta del paese.

La loro storia non lineare delle ondate migratorie e la molteplicità degli insediamenti in Italia, fornisce una giustificazione alla dispersione in un vasto territorio che, attualmente, copre quasi tutto il meridione.

“Quasi dovunque, nelle regioni dell’Italia centro-meridionale nelle quali s’insediarono, nel corso delle varie immigrazioni – sette furono le “trasmigrazioni” in Italia, secondo il Giustiniani, dieci secondo il Guyon, citato dal Simini, gli albanesi, o Coronei o Schiavoni, tutti di religione greco-ortodossa, dettero vita, in virtú della loro origine etnica e della fede professata, a vere e proprie isole etniche, e linguistiche, in mezzo alle popolazioni italiane.”

La prima migrazione risalirebbe agli anni 1399 – 1409, quando la Calabria, prima dell’avvento di Alfonso d’Aragona, era già sconvolta da rivolte intraprese da feudatari contro il governo angioino e gli albanesi si interpongono per fornire i loro servizi militari per l’una o l’altra fazione in lotta.

La seconda migrazione risale agli anni 1416 – 1442, quando Alfonso d’Aragona ricorse ai servizi di Demetrio Reres, nobile condottiero albanese, che portò con se un folto seguito di uomini. La ricompensa per i suoi servigi consistette nella donazione, nel 1448, di alcuni territori in Calabria e ai suoi figli in Sicilia.

La terza migrazione risale agli anni 1461 – 1470, quando Giorgio Castriota Skanderberg (principe di Krujia), inviò un corpo di spedizione in aiuto a Ferrante I d’Aragona che nella lotta contro Giovanni d’Angiò, sgominò nel 1461 le truppe partigiane. Per servizi resi, fu concesso  ai soldati ed alle loro famiglie di stanziarsi in ulteriori territori anche in Puglia.

La quarta migrazione risale agli anni 1470 – 1478. In questo periodo si intensificarono i rapporti tra regno di Napoli ed i nobili albanesi con il matrimonio tra Irene Castriota (nipote di Skanderberg e il principe Pietro Antonio Sanseverino di Bisignano in Calabria nel 1470, e la caduta di Krujia nel 1478 sotto il dominio turco. La quinta migrazione risale agli anni 1533 -1534, quando i turchi conquistarono la fortezza di Corone, città mista greca e albanese della Morea. Questa fu l’ultima migrazione massiccia dall’Albania verso l’Italia.

La sesta migrazione risale all’anno 1664, quando la popolazione di Maida della Morea, dopo una ribellione ferocemente domata dai turchi, migrerà verso Barile in Italia già popolata da albanesi che si erano ivi stabiliti precedentemente.

La settima migrazione risale all’anno 1743, quando una popolazione scappata dalla Chimara e proveniente  da Pikernion (Albania Meridionale) non lontano da Santi Quaranta, è fatta accogliere, sotto Carlo III di Borbone a Villa Badessa in Abruzzo.

L’ ottava migrazione risale all’anno 1774, quando una popolazione albanese, guidata da un certo Pangiota Cadamano, si rifugia a Brindisi di Montagna in Basilicata.

La nona migrazione è quella iniziata massicciamente negli anni ‘90 del ventesimo secolo che possiamo dire a tutt’oggi non ancora esaurita del tutto.

A Villa Badessa, gli albanesi mantennero la religione cristiana di rito greco bizantino e questo fu, ed è tuttora come anticipato, uno dei tratti caratterizzanti la etnia albanese sia rispetto alla restante popolazione italiana, sia riguardo agli albanesi rimasti in patria, divenuti nella stragrande maggioranza dei casi o filo-musulmani o filo-ortodossi.

Altre come le comunità arbëreshë molisane hanno perso tradizione e usi religiosi ma hanno conservato la lingua. Oggi in Italia si contano 52 comunità di provenienza e cultura arbëreshë, distribuite dall’Abruzzo alla Sicilia, per un totale di circa 100.000 abitanti. Sono presenti in sei regioni dell’Italia meridionale: Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia. La Calabria è la regione che vede la maggiore presenza di comunità arbëreshë, contando ancora 58.000 persone circa che parlano la lingua originaria su un totale di 88.000 circa appartenenti alla comunità italo – albanese. Importanti comunità arbëreshë abitano in almeno 30 Comuni della Regione, in particolare in provincia di Cosenza. La comunità di origine albanese più numerosa è quella pugliese (113.000 persone circa) anche se solo una piccola percentuale (12.800 persone circa, concentrate in provincia di Foggia, a Casalvecchio e Chieuti, e in provincia di Taranto a San Marzano) parlano ancora l’arbëreshë.

Come detto, in Abruzzo esiste una sola comunità arbëreshë, Villa Badessa, frazione del comune di Rosciano, provincia di Pescara. Nelle altre regioni, le comunità albanofone in Molise sono quelle di Montecilfone, Portocannone, Ururi e Campomarino (provincia di Campobasso); in Basilicata Barile, Casalnuovo Lucano, Ginestra, Maschito e San Costantino Albanese (provincia di Potenza); in Puglia Casalvecchio e Chieuti (provincia di Foggia) e a San Marzano di San Giuseppe (provincia di Taranto); in Campania Greci (provincia di Avellino); in Sicilia a Piana degli Albanesi, Santa Cristina di Gela e Contessa Entellina (provincia di Palermo) mentre Mezzojuso e Palazzo Adriano, nella stessa provincia, restano solo culturalmente albanesi.


 

Ricostruzione storica, evoluzioni e nuove ipotesi sulle origini di Villa Badessa

A pochi chilometri da Rosciano, immersa nel verde di una meravigliosa vallata in cui scorre il torrente Nora, Villa Badessa, frazione di Rosciano, provincia di Pescara, rappresenta la più settentrionale colonia italo-albanese d’Italia. Un’oasi orientale che segue il Tipikòn di Costantinopoli in lingua greca. I cinquecento iniziali abitanti che hanno dato vita a questa minuscola diaspora sono i discendenti di un gruppo di diciotto famiglie partite nella prima metà del secolo XVIII dall’Albania meridionale dai villaggi di Piqeràs, Lukòva, Shen Vasìli, Klikùrsi, Nivizza e Corfù della regione di Chimara per sfuggire all’occupazione turca dei Balcani. Giunti in Italia nel 1743 , ricevettero da Carlo III di Borbone i due feudi allodiali dell’Abbadessa e di Piano di Coccia dove si insediarono ufficialmente. Il piccolo nucleo era accompagnato da uno o due sacerdoti  ai quali era affidata la cura spirituale della comunità, dedita all’agricoltura.

Il Castagna pone nel 1744 la data della fondazione del villaggio: specifica che il permesso all’insediamento, chiesto dai soldati albanesi del Battaglione Real Macedone fu accordato da Carlo III come ricompensa del valoroso apporto dato nella battaglia di Velletri. Altre ricostruzioni storiche non si discostano più di tanto da quella che sono accreditate come le ipotesi di insediamento e nascita di Villa Badessa di cui fanno testimonianza e la lettera del marchese di Salas, segretario di Stato del re Carlo III, Borbone di Napoli al Marchese Antonio Castiglione di Penne, delegato regio dei beni allodiali della Casa Farnese. Tra le modalità del primo insediamento, alcune di particolare suggestione fantasiosa la versione più credibile sembra essere quella secondo cui alcune delle famiglie albanesi badessane si siano dislocate dalla contrada “Abbadessa”dei signori Taddei di Pianella verso il vicino torrente Nora, contrada Bosco, per ragioni di pascolo degli armenti, portando con se l’Ikona della Madonna Odigitria, e non di lei la statua perché il culto bizantino non prevede statue di alcune genere. “[…]. Ma successivamente avendo sperimentato che la zona Bosco si presentava seriamente disagiata per l’aria non salubre, per la forte umidità, nonché per la micidiale malaria, qualcuno degli anziani del popolo (pjèqzit), esplorando una nuova località salubre, arieggiata, soleggiata e più comoda (l’attuale collinetta di Villa Badessa), di notte tempo prevelava la S.Ikona della Odigitria e la deponeva sulla nuova terra prescelta. L’indomani la S.Ikona veniva di nuovo ripresa e riportata nella zona Bosco; cosi avvenne per diverse volte fino a quando tra gli anziani prevalse la decisione di preferire la collinetta dove sorgerà poi il paese di Villa Badessa, e vi edificarono, gli stessi albanesi, l’attuale chiesa parrocchiale, dedicandola alla SS.Maria Assunta in cielo (Kimisis = Dormizione).

Negli anni 90 come sappiamo due sono state le ondate migratorie albanesi  […]“Una si caratterizza maggiormente come fuga da un regime in dissoluzione, in grado di proiettare alcune sue caratteristiche autoritarie nel passaggio alla democrazia, con l’effetto di un indebolimento dello Stato. Per la seconda le cause possono essere ricercate nel caos e negli scontri armati, a seguito della protesta per i brogli elettorali e il crollo finanziario delle cosiddette piramidi […]

Negli anni 90, con la fine del regime di Enver Hoxha, gli albanesi furono catapultati in una situazione in cui nulla era preordinato e ognuno poteva agire nel contesto della libera scelta, tranne quella di emigrare[…] Ma il passaggio caotico e repentino dallo smantellamento del sistema statale di welfare ad uno di privatizzazioni selvagge poco compatibili con un apparato industriale obsoleto e improduttivo hanno prodotto una fuga e una protesta, alla ricerca di una libertà “reale” secondo aspirazioni. Un esodo notevole, di più di un quarto della popolazione in un periodo limitato di tempo che ha prodotto due generazioni di migranti, desiderosi di integrarsi ma poco accettati dagli italiani. Nonostante la propensione ad un’integrazione soggettiva gli albanesi non sono stati esentati dai pregiudizi[…].

L’ondata migratoria recente non ha interessato quasi completamente l’antico insediamento arbëreshë. I nuovi esuli hanno sostanzialmente ignorato di recarsi, cercare di insediarsi e di conoscere la realtà fondata dai vecchi esuli. D’altra parte i badessani hanno seguito le vicende degli sbarchi di massa dall’Albania con una distratta curiosità, mostrandosi nel contempo reticenti prudenti se non diffidenti circa una convinta opera di accoglienza solidale. Tuttavia, va anche detto che nel territorio comunale di Rosciano, come in altri comuni limitrofi, diversi sono i casi di insediamenti, singoli e a piccoli gruppi, di emigranti albanesi della diaspora attuale. Nella maggior parte dei casi si è trattato di permanenze brevi o non continuative, condizionate oltre che dalle reciproche diffidenze con i residenti anche dalle scarse opportunità di trovare una dignitosa e duratura stabilità economica; peraltro sono anche presenti casi di lunghi rapporti e di stima in campo lavorativo.


Citazione di Abbadessa….

 

Dizionario2[1]

 


Nuove ipotesi sulla provenienza degli arbëreshë della comunità badessana

Nuove ipotesi sulla provenienza degli arbëreshë della comunità badessana è emersa a seguito di un primo viaggio-missione condotta dal 10 al 14 ottobre del 2010 dai docenti universitari Giovanni Agresti (Università di Teramo e Presidente LEM Italia) e Giancarlo Ranalli (Presidente pro-tempore Associazione Culturale Villa Badessa). Il viaggio in Albania ha infatti arricchito di nuovi spunti le origini della comunità di Villa Badessa nei luoghi di provenienza degli esuli fondatori. Giovanni Agresti, mette cortesemente a disposizione il “diario di viaggio” e dà la possibilità all’intera comunità di acquisire alcune preziose informazioni, con nuove supposizioni e spiegazioni circa le origini della frazione e su alcuni tratti ed espressioni della sua cultura.

“Gli incontri intercorsi con intellettuali e abitanti locali e alcuni sopralluoghi in particolare a Piqeras- dice Giovanni Agresti- hanno evidenziato elementi relativi alla storia, all’onomastica e al culto che consentono di far progredire la conoscenza della storia dell’isola linguistico-culturale arbëreshe di Villa Badessa. Le principali interviste sono state anche integralmente riprese e la loro traduzione in italiano potrà consentire ulteriori approfondimenti.

La missione ha sostanzialmente confermato gli elementi riportati dai documenti noti e cioè la partenza delle famiglie arbëresh da Piqeras nel 1743. Questo villaggio, sito su una collina di ulivi che scende a mare (d’altra parte, a eccezione di Himara, gli insediamenti in zona non sono mai esattamente sulla costa, ma sempre un poco all’interno), possiede un’importante tradizione marinaresca, è ragionevole ritenere che nel XVIII secolo diverse famiglie avessero imbarcazioni proprie. Piqeras risulta inoltre essere un villaggio a suo modo ricco, il più ricco della zona[…]. Il fatto che Piqeras sia stato il porto da cui sono partite le famiglie in fuga non significa che queste provenissero tutte da Piqeras.

Un elemento nuovo rispetto a quanto noto riguarda poi il toponimo Villa Badessa. Lo storico locale, prof. Minella Gjoni riporta a pagina 25 nel suo testo “Vila Badesa (Bardhesa)” sostiene anche che Badessa derivi dal castello di Badhra, uno dei più antichi insediamenti illirici, forse risalente al 2000 a.C., andato poi distrutto, ubicato nella parte alta di Piqeras, sulla cima di un colle che la sovrasta: da qui l’origine e l’evoluzione del toponimo: Badhra > Badhresa >Bardhesa > Badessa. “Badessa” collegato a “bardhesa” significherebbe “bianca” (“i bardhë” =“bianco”).

Continuando il suo racconto, lo studioso evidenzia come gli emigranti albanesi da sempre, come senso forte di appartenenza alla terra natia, abbiano cercato di dare vita ad un “villaggio gemello” nella nuova patria, talvolta con lo stesso nome di quello d’origine (esempio: Shen Vasil > San Basilio in Calabria). Sempre secondo Gjoni, lo stesso nome del villaggio dei migranti di Piqeras in Albania verso l’Italia, deriverebbe da un antecedente nome di Pikerni che significherebbe “punto di vento” o “unione con il cielo”. L’antico nome di Pikerni trova peraltro conferma in diversi documenti, tra cui il manoscritto del Papàs Andrea Figlia (1764): “Nell’anno 1743 dalla Terra di Pichierni Provincia di Cimarra per forte attacco avuto coi confinanti Golemmi, E Borsci un tempo Cristiani oggi però ridotti la maggior parte di loro al Maumettismo, furono costretti li Pichierni doppo sanguinose, e lunghe zuffe fra di loro […] darsi alcuni in fuga, ed altri nelli contigui Paesi di Lurovo [Lukovë], e Cimarra [Himarë] rifuggiarsi. Li primi approdarono in Brindisi […] e di loro piacere scelsero il luogo detto la Badessa membro della Terra di Pianella”.

1764 Origine di Villa Badessa

La guida turistica Vangel Xhani ha confermato il conflitto tra Borsch e Piqeras come causa dell’emigrazione. Al riguardo inoltre, Xhani arricchisce l’evento dell’emigrazione come una decisione repentina presa dopo una “soffiata di una donna di un paese attiguo, una “rapida fuga” organizzata nottetempo per sottrarsi da un imminente attacco dai villaggi confinanti e quindi per mettersi in salvo.

I documenti noti a oggi parlano di 18 famiglie che arrivarono, e quindi fondarono, il villaggio di Villa Badessa. Minella Gjoni fornisce numeri diversi: 70 famiglie in fuga, 43 andarono a Villa Badessa, le altre a Nivizza.

Minella Gjoni sostiene che nel 1744 la popolazione era ortodossa ma aveva legami con il papato. Tuttavia su questo particolare aspetto, la difficoltà di cogliere appieno il vero significato delle affermazioni mediate dalla pur efficace traduzione simultanea degli amici AFALC, forse non ci consente di giungere a considerazioni ulteriori. Ma su questo aspetto tenteremo una nuova indagine quando torneremo nuovamente in terra di Albania, come in occasione dell’evento del Gemellaggio o in occasione delle iniziative proposte da LEM Italia (VI Giornate delle Minoranze Linguistiche, novembre 2012).

Per quanto riguarda le icone, al momento della partenza da Piqeras i migranti avrebbero portato via tutte le icone. Sappiamo inoltre che le icone sacre sono tradizionalmente conservate anche in famiglia oltre che in chiesa – questo accade tuttora a Nivizza.

Il papàs Alexandro Mehilli (Lukovë, Saranda), sposato con figli, ha consentito un raffronto tra il rito locale e quello badessano. Il papàs riferisce che ancora oggi si prega molto, vengono letti i Salmi di Davide, nel rito del Battesimo si procede con l’immersione in acqua per intero del bambino, la tradizione e il rituale liturgico non si sono persi anzi ben conservati. Nella cerimonia del matrimonio si preparano corone agli sposi che si scambiano più volte, si beve vino dallo stesso bicchiere, ma poi lo stesso non viene gettato a terra per essere rotto come simbolo di indissolubilità del sacramento tra i due sposi, aspetto questo che lo distingue dal cerimoniale ancora in uso tutt’oggi a Villa Badessa. Dal dialogo, inoltre si apprende che al posto del bicchiere vi sia un piatto, che comunque segue lo stesso destino!.

Quando qualcuno muore viene recitata un’elegia funebre, le donne fanno l’elegia una ad una: la madre, le sorelle ecc. C’è il costume di graffiarsi il viso dalla tristezza. A Lukovë le persone più vicine al defunto gli battevano i pugni sulla schiena. Il giorno del defunto portavano il grano con bucce d’arancio e zucchero (kolima, corrispondenti ai colivi badessani). Nella famiglia del defunto ogni giorno ogni famiglia (bizantina) porta del cibo. Il sacerdote può sposarsi, ma non può ambire ad alte cariche, in sostanza non può fare il vescovo.

Durante tutta la settimana della Pasqua ci sono celebrazioni speciali. Ogni giorno si fa la messa, si leggono Vangeli diversi, ogni giorno viene adattata a una storia dei Vangeli. Il giorno di Pasqua tutto il villaggio visita il villaggio: il padrone di casa ospitava tutti e offriva agli ospiti l’uovo rosso. La messa di Pasqua: inizia alle 22:00 di sabato e finisce alle 02:00 di domenica. […] È presente la tradizione del prete che bussa tre volte per vedere se c’è il diavolo. Vedendo una foto di Lino Bellizzi, Minella Gjoni osserva che il suo abito è ortodosso e che viene normalmente indossato per tutto il giorno.

Diversi nomi di famiglia badessani dei primi dell’800 corrispondono a cognomi degli attuali abitanti di Piqeras. Questa verifica l’abbiamo fatta intervistando Minella Gjoni e visitando il cimitero di Piqeras.

Lo studio dei cognomi e la piena comprensione delle dichiarazioni e dell’intervista rilasciata da M.Gjoni, acquisita in arbëresh, potrebbero contribuire anche a chiarire la questione religiosa: infatti, se è confermata la presenza dei seguenti cognomi (Spiro, Palli, Costantini, Nicola, Athanasio, Spiridone, Spiro Cesare, Varfi, Wlasj, Zuppa, Mili, Gioni., Gijika (Gicca), Lazari.,..) non altrettanto certa risulterebbe l’assimilazione degli stessi cognomi a famiglie ortodosse.

Minella Gjoni confermerebbe che in linea generale, è verosimile ritenere che dal 1743 a oggi vi siano stati diversi scambi o che almeno ci sia stata una qualche comunicazione tra i due villaggi: alla fine del XIX secolo fu portato a Piqeras, ed esattamente nel Monastero di Kremesova, che domina il villaggio, una piccola Campana / “Campanello” proveniente dall’Italia, fatta realizzare forse ad Agnone nel Molise, dai badessani come omaggio e saluto alla madrepatria. Se ne ha una immagine parziale in una foto stampata presente in un testo messo a disposizione da Minella Gjoni e da noi consultato. Una ricerca alla fonte sull’esistenza di questa piccola campana presso i libri storici della nota Fonderie Marinelli di Agnone in prov di Isernia, tuttavia non hanno consentito di confermare né aggiungere dettagli utili, per la perdita di alcuni libri e documenti di quel periodo, come conseguenza dei dani causati da un incendio in epoche passate.

Ma tra le testimonianze raccolte abbiamo un’altra versione: molti ragazzi di Lukovë sono caduti al servizio di Re Ferdinando II il quale, per riconoscenza, ha fatto costruire questa campana, esistita fino al 1967 poi distrutta sotto il regime comunista di Enver Hoxha. A favore di questa ipotesi la tradizione marinaresca del villaggio e la prossimità della costa italiana, naturalmente; ma anche la diffusa e sorprendente presenza, nell’immaginario di alcuni abitanti di Piqeras, del toponimo “Villa Badessa”. Nell’interazione, il nome del paese sembra configurarsi come un interruttore della memoria o tessera di riconoscimento a prescindere da una conoscenza esatta della sua ubicazione. Gjoni sostiene che un abitante di Piqeras sia andato a Villa Badessa e abbia riscontrato numerosi toponimi simili […]. Altri confronti tra Villa Badessa e Piqeras riguardano il costume badessano femminile che è effettivamente uguale a quello di Piqeras, anche se la tunica nera lunga è del nord dell’Albania: al riguardo una conferma si può trovare nell’illustrazione a colori di pag. nel 3° volume di abiti tradizionali dell’Albania meridionale.

Sempre secondo Gjoni, la chiesa di Villa Badessa è uguale a quella di Piqeras (che però fu distrutta durante il regime comunista). Diverse corrispondenze risultano anche nella cucina tradizionale (esempio tepsi = tegame; piatto tipico a base di sfoglia di pasta che riveste il fondo di una pirofila, poi riempita con riso e verdure, con versione carne (salsiccia) o pesce (baccalà), quindi richiusa parzialmente in alto, lasciando a vista una “finestra” centrale per meglio seguire la cottura, oltre che per un senso coreografico del piatto).

Gjoni afferma che Maximilian Lambertz  ha studiato, già nel 1904, la lingua di Villa Badessa. Lo stesso studioso avrebbe raccolto anche delle canzoni, ma la sua opera sarebbe inedita. La lingua di Piqeras e di Lukovë è molto vicina, è la più vicina all’arbëreshe […]”

 

Foto di Piqeras (2017)

 


Da un testo in lingua greca sulle origini di Villa Badessa….

[Dall’altra parte, certamente,] mostrerò lo spirito indomabile del medesimo andare errando; ricordo che dopo che il 1774 i turco-albanesi improvvisamente [mossero] contro gli abitanti delle regioni N.A. della Chimarra e  le <regioni?> conquistarono, molti abitanti si spostarono in Italia, dove fondarono le colonie dei Greci Ortodossi. Dal momento che, tuttavia, lo spirito ellenico e la coscienza [o consapevolezza] ellenica erano profondi e solidi, dopo 101 anni, […] il 1875, cercarono <l’appoggio?> presso il Governo Ellenico di Alexandros Koumoundouros  per il ritorno in Grecia, e alcuni di loro fondarono in Manolada nella <regione> Eleia la comunità “Nuova Pikernon” e gli altri, compattamente, [si spostarono] a Mantinea nella regione dell’Arcadia e fondarono “Piccola Pikernon”, in  memoria della loro antica regione.

PS: fra le parentesi quadre [ ] ipotesi di traduzione in greco moderno; tra le parentesi < >  aggiunte complementari.


Gente Skipa a Villa Badessa

Breve saggio a cura di Michele Marchianò  (in primo piano la copertina, più in basso il testo in pdf).

Breve

-AlbaniaeVitaAlbanese


I primi “testimonials” europei di Villa Badessa: Edward Lear e Maximilian Lambertz

Edward Lear pittore e scrittore inglese (1812-1888) è stato un importante “descrittore” dell’Italia – dove visse gran parte della sua vita – e dell’Abruzzo in particolare. I suoi viaggi nella regione – tra il 1843 e il 1844- hanno toccato e sapientemente descritto diversi paesi da lui visitati. Possiamo considerarlo come il primo testimonial turistico dell’Abruzzo, visto l’apprezzamento condiviso anche al cospetto della regina Vittoria d’Inghilterra. E’ il primo a scoprire il fascino dell’originalità di Villa Badessa dove è rimasto una notte prima di continuare il suo viaggio. Appassionante e ricca di particolari è la descrizione dell’ingresso a Villa Badessa (Lear, Escursioni illustrate nell’Abruzzo, pag. 105, 26 settembre 1843), gli abiti femminili ancora indossati, l’abitazione le persone incontrate (p. 106, 27 settembre 1843).

Alla vigilia della prima guerra mondiale, Maximilian Lambertz si spostò in Italia per studiare i dialetti albanesi presenti sul territorio. Durante il suo viaggio in Italia meridionale, Lambertz ha immortalato una serie di immagini molto suggestive di Villa Badessa, del suo antico borgo, animato da bambini e personaggi tipici di quel periodo. Le lastre di vetro originali di queste fotografie sono conservate presso l’Archivio Fotografico della Biblioteca Nazionale Austriaca di Vienna (Bildarchiv der Österreichischen Nationalbibliothek, Wien). Le immagini ed i luoghi fissati sono una straordinaria testimonianza sulla comunità badessana nell’anno in cui Lambertz ha svolto la sua ricerca linguistica in Italia meridionale nel 1912  e 1913, proprio a distanza di un secolo da noi oggi (2013) che con occhi diversi possiamo confrontare la stessa realtà (location) a posteriori. Peraltro, l’interesse intrinseco delle immagini di Lambertz non sono passate inosservate ad un famoso fotografo canadese Robert Elsie che le ripropone ancora oggi nel suo sito web (www. AlbanianPhotography.net).

Qui di seguito si riportano alcune immagini storiche suggestive di Villa Badessa tratte dal sito stesso.


Collocazioni della rivista Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung, contenente i lavori di M.Lambertz che interessano Villa Badessa.

Italo-albanische Dialektstudien. in: Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung

(KZ), Gütersloh, 51 (1923), p. 259-290; 52 (1924), p. 43-90; 53 (1925), 7, 66-79, 282-307.

MI0185 MILNB IT\ICCU\TO0\0198253 Biblioteca nazionale Braidense – Milano – MI – [consistenza] 1(1852)-100(1987).



    LA LINGUA

     



    Villa Badessa – Toponomastica

    Villa Badessa Badhesa

     


    Riceviamo e volentieri pubblichiamo (3 agosto 2020, Amanda Relli, Bellezze Nascoste)
    Oggi, la maggior parte degli albanesi si definisce “Shqiptar“. Con l’eccezione della lingua serba, dove il termine “siptar” viene usato in modo dispregiativo (in modo coretto si dice “albanac”), tutte le nazioni vicine chiamano gli albanesi con lo stesso termine che ha come radice “alb” o “arb”. Anche gli albanesi che nel tardo Medioevo emigrarono in Grecia o nell’Italia meridionale, non si identificano come “Shqiptari”, ma come “Arvaniti” o “Arbëreshë”. ….Continuate a leggere il pdf..

    Albanesi, Sqhiptari e Arbereshe


    Vocabolario Italiano-Albanese 2019 – Coordinamento Fernanda Pugliese, Direzione Giovanni Agresti

    Vocabolario_ita-arb-r

    DIZIONARIOITALBANIA

    Antico dizionario di Lingua Albanese – parte Albanese – Italiano (Prof. A Lacalendola. Casa Editrice M.Liantonio, Palo del Colle, 1936)


    Minoranze linguistiche: Comunità arberesh (Contributo da Sergio Venditti)

     

    Minoranze linguistiche 11 2020


    Per chi volesse accostarsi alla lingua e grammatica arbereshe
    (di Piana degli Albanesi, Palermo)

    Grammatica della parlata arbereshe Piana degli Albanesi


    La sfera di influenza di Tosk e Gheg sugli parlanti di Arbërisht

     


    Villa Badessa nel cuore dell’Europa: a Bruxelles per la IV Assise del Plurilinguismo 2016

    L’associazione culturale Villa Badessa e l’Associazione LEM Italia saranno presenti alla conferenza che si terrà al Comité économique et social européen, rue Belliard, 99 a Bruxelles, il 18 e il 19 di maggio 2016.

    Il titolo dell’intervento sarà:  Villa Badessa, tra Oriente ed Occidente. La creatività nelle azioni di rivitalizzazione culturale.

    Scheda Villa Badessa x Bruxelles 2016

    Diaporama_programme_salle2

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    IV ASSISE 2016


     

    Una giornata sull’educazione plurilingue – 15 ottobre 2015  UNIVERSITA’ di TERAMO

    Il 15 ottobre, in riferimento alla Giornata Europea delle Lingue (26 settembre), si terrà a Teramo, presso la Sala delle Lauree della Facoltà di Scienze politiche, il Convegno L’educazione plurilingue, tra inclusione sociale e trasmissione intergenerazionale. Un’alleanza scuola-università? organizzato dalle Cattedre di Lingua Francese e Lingua Spagnola con la collaborazione dell’Istituto Comprensivo Montorio al Vomano-Crognaleto, dell’Istituto Comprensivo “Zippilli-Noè Lucidi Teramo”, dell’Associazione LEM-Italia (Centro studi Sociolingua per la diversità linguistica), l’Università degli Studi di Teramo e la Fondazione Università degli Studi di Teramo (Centro Linguistico d’Ateneo).

    Programma Convegno: Ore 9:15 Saluto delle Autorità e Apertura dei lavori

    Ore 9:30 Prima sessione: voci dalla scuola Presiede Stefania Di Battista, IC «Falcone e Borsellino», Villa Vomano-Basciano (TE) Cinzia Colaiuda, Esperta di politiche plurilingui, Plurilinguismo in Italia: stato dell’arte e prospettive Eleonora Magno, Dirigente scolastico IC Montorio al Vomano-Crognaleto, Educare con il plurilinguismo: l’esperienza dell’IC «Montorio-Crognaleto» (TE) Lia Valeri, Dirigente scolastico IC Zippilli-Noè Lucidi” di Teramo, L’approccio multilingue precoce: ricerca-azione tra progettazione e sperimentazione Stefania Di Battista, IC Villa Vomano-Basciano, Educazione bilingue precoce: quali vantaggi?

    Ore 11:00 Seconda sessione: voci dall’università Presiede Danielle Lévy, Association TRANSIT-Lingua Mauro Chilante, Fondazione Università degli Studi di Teramo, L’Università di Teramo e l’inclusione delle Minoranze linguistiche escluse: verso progetti di bilinguismo Italiano-LIS Nazzareno Guarnieri, Fondazione Romanì Italia, Un progetto pilota per l’inclusione dei rom: il «Master-Rom» Sabrina Mazzara, Fondazione Università degli Studi di Teramo, Le rappresentazioni sociali della lingua inglese in Italia: una ricerca presso il CLA dell’Università di Teramo Fiammetta Ricci, Università degli Studi di Teramo, Educare alla cittadinanza politica tra ricerca d’identità e pluralismo linguistico e culturale: una sfida per Scuola e Università

    Ore 12:15 Terza sessione: voci dalle minoranze linguistiche Presiede Neritan Ceka, Ambasciatore della Repubblica di Albania in Italia Silvia Pallini, Associazione LEM-Italia, Valorizzare i patrimoni etnolinguistici minoritari: la rete dei Parchi EtnoLinguistici d’Italia® Fernanda Pugliese, Associazione Rivista Kamastra, Montecilfone, La comunicazione bilingue nell’area albanofona tra Abruzzo e Molise. Stato dell’arte e prospettive Giovanni Agresti, Università degli Studi di Teramo, Uno strumento per la rivitalizzazione dell’arbëresh molisano: il Dizionario polinomico e sociale Dibattito

    Ore 13:30 Chiusura dei lavori Durante i lavori del convegno saranno disponibili numerose pubblicazioni sul plurilinguismo e sul pluriculturalismo.

     


    Vocabolario polinomico e sociale italiano-arbëresh delle varietà molisane

    Abbiamo il piacere di segnalarvi la pubblicazione del primo volume del Vocabolario polinomico e sociale italiano-arbëresh delle varietà molisane («Teoria e metodo; Spazio e relazioni di prossimità»). Il lavoro scaturisce dalle attività del corso di arbëresh promosso dalla Rivista Kamastra nell’ambito del progetto di formazione reso ai sensi della Legge 482 del 1999 artt. 9 e 15 Regione Molise. Gli sportelli linguistici sono i quattro delle comunità italo-albanesi molisane (Campomarino, Montecilfone, Portocannone, Ururi).  Il vocabolario (220 pp.) vuol essere un primo fascicolo di una serie tematica, e per questo è circoscritto a due macrosezioni: le relazioni di parentela e di prossimità intracomunitaria e gli oggetti e strumenti della vita quotidiana domestica, sezioni precedute da un’ampia introduzione metodologica.

    L’opera, ispirata ai principi della linguistica dello sviluppo sociale, è diretta da Giovanni Agresti ed è scaricabile gratuitamente dal sito dell’editore Mnamon di Milano:

    http://www.mnamon.it/ebook-gratis/vocabolario-polinomico-e-sociale-italiano-arberesh-ebook.html

    in alternativa è disponibile in pdf qui di seguito:

    Vocabolario_ita-arb-r

     


    Corso di Alfabetizzazione Arbereshe – Anno scolastico 2013 – 2014

    Corso Alfabetizzazione Arbereshe

     


    La lingua: piccolo vocabolario dei termini albanesi ricordati a Villa Badessa

    Nel corso del tempo, ma specie nella seconda metà del ventesimo secolo, alcune località, tra cui Villa Badessa, hanno perso l’uso della lingua e altre originarie caratteristiche. A valle della seconda guerra mondiale che a Villa Badessa si assistono cambiamenti repentini nel tessuto sociale ed economico del villaggio: la crisi grave economica e quindi la speranza di una vita più generosa delle condizioni iniziali, indusse molti individui, se non interi nuclei familiari. ad emigrare sia verso il settentrione dell’Italia, sia verso paesi del nord Europa (Francia, Belgio, Germania) e oltre oceano (Argentina, Venezuela, Australia, Canada e Stati Uniti). Il tessuto sociale si assottiglia e quindi, non regge alla consuetudine di auto-riproporsi e riprodursi attraverso la costituzione di nuovi nuclei familiari tra individui di famiglie originarie arbereshe; anzi, la diffusione di matrimoni misti (tra individui appartenenti alla comunità originaria locale e individui in genere di territori limitrofi) ha indotto un graduale abbandono dell’uso della lingua arbereshe nelle singole realtà familiari. Peraltro, per un senso forse di maggior integrazione richiesto dall’esterno del villaggio, anche tra gli individui più anziani, l’uso della lingua tradizionale era confinato in ambito domestico affiancato dal dialetto e dalla lingua italiana. Oggi potremmo dire che, solo in certe occasioni, per non farsi capire da tutti in famiglia, come una forma di riservatezza, di privacy familiare, i figli ascoltavano i genitori senza poterne cogliere i particolari ed il senso delle argomentazioni, più spesso discussioni.

    A titolo di spunto di riflessione, si riporta qui di seguito alcuni dettagli della relazione conclusiva realizzata recentemente dall’Università degli Studi G.d’Annunzio Chieti-Pescara, nell’ambito di progetto di studio dal titolo “Sopravvivenze linguistico-culturali arbereshe nella varietà di Villa Badessa” condotto tra il 2010 e il 2011 (a cura di Carlo Consani e Carmela Perta, Dip. Studi Comparati – Università “G. d’Annunzio”, 2012).

    Anche attraverso l’opera fattiva dell’Associazione Culturale Villa Badessa che opera in modo ininterrotto da oltre 20 anni, si è riusciti a far emergere dalla memoria dei pochi ancora anziani “icone linguistiche sopravvissute” quegli elementi e tracce di un passato oramai quasi del tutto tramontato  (Rif. a 3 tabelle, Detti e filastrocche in arbereshe di Villa Badessa (2010), Espressioni arbereshe di Villa Badessa (2010), Glossario arbereshe di Villa Badessa a cura di Università degli Studi  “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara, 2013.

     

    Perta-Sopravvivenze      (pubblicazione dell’indagine linguistica a Villa Badessa, 2010)

    Qui di seguito alcune immagini del Convegno delle VI Giornate dei Diritti Linguistici (LEM-Italia, Pescara, 8 novembre 2012 presso il Museo delle Genti d’Abruzzo ), nel quale fra l’altro sono stati presentati i primi risultati dell’indagine “Sopravvivenze linguistico-culturali arbereshe nella varietà di Villa Badessa” (C.Perta e coll.).

     


     

    I rapporti oggi 2015 tra la comunità di Villa Badessa e la terra d’origine in Epiro

    Tra i rapporti più recenti tra le 2 comunità di Villa Badessa e di Piqeras, va richiamato il viaggio-missione effettuato tra il 10 e il 14 ottobre del 2010, da Giovanni Agresti (Università di Teramo e Presidente LEM Italia) e Giancarlo Ranalli (Presidente pro-tempore dell’Associazione Culturale Villa Badessa), in presenza di un foto-cine operatore e il supporto della traduzione della lingua.

    Dopo aver acquisito un gran numero di dati e informazioni, come già riferito sopra, Giovanni Agresti e Giancarlo Ranalli hanno concluso il loro viaggio incontrando presso la sede dell’Amministrazione comunale del Sindaco di Lukovë, Vladimir Kumi, insieme a vari Assessori è stata anche l’occasione per porgere i saluti riportati in forma scritta in lettera predisposta dal Sindaco del Comune di Rosciano, Alberto Secamiglio.

    I contenuti del testo auspicavano inoltre l’avvio di relazioni reciproche tra le due amministrazioni da sancire in un documento di gemellaggio, da sottoscrivere in un futuro ravvicinato già nella preannunciata visita in Italia, a Rosciano e Villa Badessa, del Sindaco di Lukovë. E’ in realtà quanto avvenuto: infatti nei giorni 7-9 settembre 2012, in occasione delle festività del paese in onore di S.Maria Assunta (8 Settembre) e in concomitanza con la prima visita pastorale del nuovo eletto Vescovo di Lungro S.E. Mons. Donato Oliverio (già Archimandrita di Villa Badessa), si è realizzata la prima fase dell’incontro tra le 2 Amministrazioni di Lukove e Rosciano: firma di un patto di Amicizia presso la sede Consiliare del comune di Rosciano, preludio alla firma ufficiale del Gemellaggio, poi incontro con la popolazione locale e di Villa Badessa, momenti conviviali e di reciproca conoscenza.

    Nell’ambito delle iniziative congiunte LEM Italia e Ass. Culturale Villa Badessa, è in fase di programmazione un viaggio culturale dal titolo “Alla scoperta delle origini di Villa Badessa, sulle tracce dell’antica Migrazione”, prevista nel mese di giugno 2013. Tale iniziativa si colloca nel più ampio programma di iniziative dei VI° Giornate dei Diritti Linguistici, tenutosi nei giorni 6-8 novembre 2012, dal titolo “Migrazioni tra disagio linguistico e patrimoni culturali (prima parte), Università di Teramo, 2012, a cura di Giovanni Agresti e Silvia Pallini (Università di Teramo e Presidente LEM Italia).

     


    Altre informazioni possono essere acquisite qui di seguito, nella tesi in Sociologia discussa all’Università  degli Studi G.d’Annunzio Chieti-Pescara, nell’a.a. 2010/2011, dal dott. Giuseppe De Micheli di Villa Badessa.

    Tesi di Laurea G.De Micheli


    Informazioni più specifiche e specializzate sulla linguistica arberesh sono disponibili consultando qui in basso alcuni articoli a stampa del prof. Leonardo M. Savoia (Università di Firenze).

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    Qui di seguito è riportato il testo scritto del contributo in lingua francese, con riferimenti all’origine e sopravvivenza della lingua arberesh a Villa Badessa; gli autori sono i linguisti Giovanni Agresti e Silvia Pallini (LEM-Italia) che hanno lo presentato al Congresso internazionale tenutosi in Sudafrica, nel 2011.

    IALLAgresti_Pallini


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